Bergamo, cultura e innovazione chiavi d’accesso per una futura Smart Land

Intervista a Giacomo Angeloni, Assessore all’Innovazione del Comune di Bergamo

Di Emanuele Martinelli, Energia Media

 

Apriamo un dialogo con l’Assessore Angeloni del Comune di Bergamo per meglio comprendere che declinazioni ha preso il concetto di Smart City, che impatto ha sulle comunità e sui servizi ai cittadini.

 

Assessore Angeloni, a Bergamo avete dato contenuto a un ambito, quello delle Smart City, che sembrava relegato all’introduzione di qualche tecnologia in particolare su contesti urbani senza una visione che ne connotasse il valore strategico per un territorio.

Nella dinamica dei temi che non appartengono propriamente al concetto di Smart City ma rientrano nell’attuazione di ambiti legati all’Agenda Digitale, mi sono reso conto di come l’Assessorato all’Innovazione di un comune capoluogo possa diventare un punto di riferimento per più soggetti. Nel nostro caso abbiamo acquisito e introdotto competenze trasversali che hanno consentito di aggregare richieste di supporto provenienti da tutta la provincia. Il concetto di Smart Land si sta attuando nella formazione di un coordinamento di assessori dei comuni dell’hinterland interessati ai temi dell’innovazione e in grado di muoversi finalmente secondo una visione strategica. Un gruppo di lavoro informale che ha mostrato di funzionare e che ha già tradotto idee in operatività e progetti.

Per esempio, abbiamo risposto a una call di Anci Lombardia sull’innovazione organizzativa delle città medie per ridisegnare secondo nuove modalità i criteri di selezione dei dipendenti; un bando che è stato vinto da Bergamo per le idee di fondo e per la capacità del gruppo di trasformarle in modello operativo. Le unioni di comuni possono dunque funzionare bene non solo in Emilia Romagna; cito quella Regione perché è tempo di fare rete attingendo dalle migliori esperienze senza timore di aprire confronti con più realtà.

 

Il tema delle competenze all’interno delle PA è sempre più centrale, in particolar modo quando si legano capacità progettuali alla possibilità di accedere a finanziamenti.

A questo proposito, nel novembre scorso abbiamo indetto un concorso per operatori C di terzo livello a supporto della ragioneria amministrativa, i posti disponibili erano 10, abbiamo ricevuto solo 15 iscrizioni; dopo qualche settimana ne abbiamo organizzato un altro, che mirava a introdurre in organico un “Citizen Assistant”. I posti disponibili erano 9, abbiamo ricevuto 1400 iscrizioni; ha fatto la differenza il fatto di averlo raccontato, non ci siamo limitati a pubblicare il bando sul sito del Comune ma abbiamo illustrato nel dettaglio mansioni e finalità, spingendoci a creare un cartone animato per promuoverlo. La risposta è stata ampia cogliendo l’interesse di numerosi laureati. Un esempio interessante che dice bene quanto la costruzione di professionalità all’interno delle PA passi anche da visione e progetti chiari in grado di rendere interessante il pubblico rispetto al privato.

 

Tornando al concetto di Smart City abbiamo visto come negli ultimi anni Bergamo sia stata in grado di offrire ai cittadini servizi a valore aggiunto. La spinta al digitale è sempre più forte ma come si traduce poi in termini di sviluppo e di cambiamento reale rispetto alla vivibilità di una contesto urbano o di un’area vasta?

Dal mio punto di vista, che gode dell’esperienza di un doppio mandato presso questo assessorato, Smart City non è sinonimo di digitalizzazione, ma si deve parlare di città intelligenti quando il digitale diventa un vero e proprio strumento nelle mani dei cittadini.

Il Comune di Bergamo in questo senso ha certamente seguito un processo di apprendimento costante, cercando soprattutto di imparare dai propri errori; siamo partiti con una digitalizzazione dell’ente eliminando il cartaceo e pubblicando online i moduli per accedere a determinati servizi, arrivando oggi all’elaborazione di 980 modelli. Nel compiere questo passaggio mi sono reso conto che il rischio maggiore consisteva non tanto nel caricare il modulo online, ma nella procedura necessaria a compilarlo che rischiava di scoraggiare il cittadino; un fatto apparentemente marginale ma che in realtà crea una grande barriera nella relazione tra cittadino e Comune. Il secondo passaggio che abbiamo quindi compiuto è stato di ripulire le procedure burocratiche attraverso un’analisi dei dati relativi ai moduli che i cittadini non compilavano online; abbiamo potuto così registrare l’estrema difficoltà nell’adempiere virtualmente a queste procedure. L’esempio più eclatante è venuto dal cambio di residenza che, prima del nostro intervento veniva svolto da remoto solo dallo 0,8% dei cittadini; oggi siamo al 98% di cambi di residenza online!

Un fatto rilevante che dice bene come serva abbattere barriere culturali che arrivano dalla PA prima che dai cittadini stessi. Questo dal mio punto di vista è sinonimo di Smart City, creare i presupposti per far crescere in parallelo – in questo caso in merito ai processi di digitalizzazione – tutte le parti, in questo caso sia il Comune che i suoi cittadini.

 

La questione dei dati sta diventando rilevante; anche in questo caso la trasformazione in informazioni passa da competenze e capacità di aggregarli secondo prospettive spesso non convenzionali.

Nella dinamica di un Comune che è chiamato a scegliere, a fare investimenti è più che mai necessario disporre di strumenti che indichino dove e come intervenire. Se per esempio i passaggi pedonali devono essere messi in sicurezza, i dati mi vengono in aiuto indicandomi dove si registrano incidenti o si manifestano altre criticità. I dati portano ad analisi predittive che certamente danno strumenti di governance evoluti. Ma credo che per qualsiasi amministrazione pubblica questo stia diventando ormai un fatto assodato, perlomeno nelle intenzioni; ora si tratta di tradurre tutto in processi. Nel concreto per noi significa entro il 2023 dotarci di una control o data room che consenta agli amministratori e quindi alla città stessa di osservare come si stia trasformando. Per poi, come detto, tradurre i dati in decisioni, dati che certamente dovranno arrivarci da più fonti, utility comprese, dotandoci di strumenti avanzati perché siano interoperabili.

 

Un piano strategico ben strutturato potrebbe essere utile per arrivare a una nuova urbanizzazione di città e territori; anche su questo punto pare non vi la giusta consapevolezza, e si contano pochissimi esempi concreti lungo il Paese.

Negli ultimi dieci anni le metropoli sono state maggiormente attrattive grazie agli investimenti che ne hanno aumentato i servizi e di conseguenza accresciuto la qualità di vita di chi le abita. Sono però convinto che nei prossimi 10 anni, le città di media dimensione riconquisteranno la loro attrattività originaria grazie anche all’analisi di tutta una serie di parametri, legati ai comportamenti e ai desiderata delle persone, che permetterà di migliorare e colmare le lacune che a oggi scontano i piccoli centri. Un passo decisivo sarà rappresentato dalla rottura della percezione di lontananza tra istituzioni e cittadino – oggi assolutamente manifesta – certamente favorita da città più contenute per numero di abitanti; naturalmente servirà migliorare vivibilità e servizi, accrescere l’attrattività con opportunità professionali, occupazionali e culturali.

In questo senso ha grande importanza il tema della partecipazione dei cittadini, una delega peraltro che ho ricevuto dal sindaco nel 2019.

 

I processi partecipativi non sempre sono misurabili in termini di efficacia e restituzione in servizi.

Abbiamo reso istituzionali realtà che in città già esistevano; storicamente le parrocchie e gli operatori dei servizi sociali e comunali lavoravano in tavoli di quartieri informali, organizzati da agenzie educative. Tolte le circoscrizioni e finito il decentramento amministrativo ed elettivo, ci siamo trovati a interagire con realtà che funzionavano e abbiamo quindi deciso di investire in questa direzione, inserendo operatori che oggi lavorano circa 30 ore a settimana sui quartieri. La vera fatica sta nello spiegare ai cittadini la complessità e le difficoltà di gestire i processi di una città. Se in un quartiere diamo il via a un percorso di partecipazione cittadina e una volta raccolti i bisogni questi non si traducono in risposte il dialogo si chiude senza la possibilità di far comprendere le motivazioni dell’amministrazione. Si tratta di un percorso educativo, culturale, su cui servono continuità nelle azioni per una miglior conoscenza del tessuto territoriale che la PA ha il compito di acquisire.

 

Il tema delle città metropolitane rimane irrisolto; piccoli e medi comuni dell’hinterland di grandi centri, sembrano in qualche modo abbandonati a sé stessi. E senza una visione progettuale che consenta un miglioramento delle condizioni dei cittadini. Quando si parla peraltro di rigenerazione urbana nasce una retorica delle periferie che il più delle volte rimane tale, mentre su questo fronte qualche risultato importante voi lo avete avuto.

Durante l’estate abbiamo fatto un lavoro di brainstorming rispetto al tipo di obiettivo che dovevamo porci per darci la possibilità di accedere a finanziamenti o comunque per dare concretezza a un processo di sviluppo territoriale.

Ricordo che insieme a Brescia, nel 2023 saremo Capitale della Cultura italiana e proprio a fronte di questo importante risultato abbiamo pensato che al tema cultura si dovesse far riferimento quando si parla di rigenerazione urbana e sociale. Da qui è nato il nuovo progetto per la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, GAMeC ma soprattutto questo principio è stato la base per vederci assegnati 20 milioni di euro dal bando Rigenerazione urbana del PNRR. Grazie a un progetto d’interazione organica tra mondi culturali che convivono all’interno della città. Un grande risultato frutto anche di competenze legate alla progettazione, ma soprattutto di una visione prospettica. Quella che manca spesso ad aree come le città metropolitane che si sono costituite solo formalmente, all’interno delle quali le reti di comuni non funzionano.

 

Avete instaurato un rapporto proficuo con Università e centri di ricerca.

Con l’Università di Bergamo condividiamo l’Ufficio di progettazione del Comune, un fatto importante e decisamente significativo. Fino a qualche anno fa si concepiva questo connubio unicamente come accessorio alla possibilità di ricevere finanziamenti, senza mettere la progettualità al centro. Un grande errore che spesso le PA hanno fatto limitando in questo modo sia le possibilità di crescita degli organici tecnici all’interno dei Comuni stessi, che di conseguenza l’accesso alle risorse pubbliche. Oggi i progetti su cui lavoriamo hanno a monte uno studio di fattibilità e ci si concentra solo su quello che realmente serve.

 

Tra i temi dove sempre più serve ragionare secondo nuovi criteri vi è la mobilità, o meglio l’intermodalità. Bergamo è un punto importante, chiave d’accesso di un’area vasta che necessita di un rilancio non solo in termini economici.

Su questo fronte purtroppo siamo vittime dell’eredità lasciata dalla visione a breve, e per questo miope, degli anni ‘60, che ha portato alla chiusura delle ferrovie delle Valli Brembana e Seriana, a favore di una concentrazione sulla stazione in città.

Ripartiremo però in modo concreto con bus elettrici e treni in grado di collegare l’aeroporto di Orio al Serio sia con Bergamo che con Milano. Il progetto che si sta delineando è di concentrare su Orio solo i passeggeri e far convergere i cargo su Brescia. Sul rapporto tra Bergamo, quartieri di nuova concezione (Chorus Life per esempio) e le valli, il dialogo tra Comune e operatori è oggi più fertile che mai. Un dialogo che parte da nuove linee di pensiero a favore dello sviluppo economico, sociale e ambientale di un’area capace oggi di visione e progettualità.