Comprensione dei territori e formazione per utilizzare al meglio le risorse del PNRR

Intervista a Giovanni Vetritto, Presidenza del Consiglio, Coordinatore dipartimento Affari Regionali e Autonomie

Di Emanuele Martinelli

 

Dottor Vetritto, la Pubblica Amministrazione locale si trova di fronte alla necessità di un reale cambiamento che tenga conto anche delle possibilità offerte dall’innovazione tecnologica. Si tratta di un processo in corso o il cammino è solo agli inizi?

In Italia non siamo all’anno zero. L’innovazione tecnologica non è penetrata in maniera sistematica nel mondo pubblico, ma sono molte le isole di eccellenza dalle quali partire per sviluppare un contagio virtuoso a tutto l’universo delle nostre amministrazioni. È importante però avere la capacità di individuare queste eccellenze per sviluppare un processo imitativo; tanto chi crede di dover ricominciare sempre da capo, come chi si accontenta dell’esistente, rischiano entrambi di fallire in una operazione di modernizzazione che non può prescindere dal riconoscimento dei suoi capisaldi.

 

La divisione Smart Energy di Enea sta fornendo alla PA locale strumenti che in prima battuta sono stati testati sugli impianti di illuminazione pubblica e che si andranno a declinare su ambiti quali edifici pubblici e strutture sanitarie. Ritiene vi sia un virtuoso passaggio di conoscenze tra istituzioni ed enti di ricerca come Enea in grado di accelerare processi virtuosi a beneficio dei cittadini?

Questo è uno dei campi sui quali si potrebbe certamente fare meglio. L’Italia ha una tradizione di ottimi centri di ricerca e sviluppo ma stenta a sistematizzare modalità di trasferimento tecnologico verso le realtà operative. Troppo spesso luoghi di eccellenza sviluppano innovazioni che restano nei cassetti. Il dialogo tra sperimentatori e ordinarietà è per la gran parte ancora da costruire.

 

Enea Smart Energy con il progetto Smart Italy Goal sta studiando piattaforme in grado di rendere i dati raccolti dalla PA sempre più interoperabili e portatori di informazioni e quindi conoscenza. Si tratta di una svolta in chiave digitale che presuppone un profondo cambiamento culturale. Cosa ne pensa? Non ritiene che il problema della formazione sia centrale in questo momento storico anche (e soprattutto) per la PA locale?

È senz’altro così. La rivoluzione tecnologica ha bisogno di diffuse consapevolezze che solo la leva della formazione può assicurare al cuore del sistema. Il passaggio alla PA 4.0 è prima di ogni altra cosa un fatto di cultura organizzativa e non esiste leva altrettanto potente della formazione per assicurare il salto culturale di cui abbiamo bisogno.

 

Ritiene che oggi il rapporto tra PA e utility possa far compiere un reale salto di qualità ai servizi pubblici nel Paese? È sufficiente la spinta derivante dall’innovazione tecnologica o sono processi e competenze che devono trovare nuovi spazi e modelli di condivisione?

Il mondo delle utility è uno di quelli che presentano più sistematici fenomeni di modernizzazione e buone prassi; spesso ciò che manca è la capacità delle amministrazioni generaliste cui le utility fanno riferimento di fare da broker delle pratiche di innovazione sviluppate. Invece di fare buona committenza nei confronti delle loro utility le amministrazioni di riferimento, locali e nazionali, si limitano e prendere atto di ciò che accade e qualche volta addirittura si disinteressano di innovazioni che potrebbero introitare nei propri meccanismi di policy making e di funzionamento. in questo caso serve una sorta di contagio a ritroso, dalle utility al mondo un po’ immobile delle amministrazioni generaliste sia locali che nazionali.

 

C’è dal suo punto di vista una reale attenzione ai territori? Al rilancio delle aree montane, un’adeguata cura alle aree remote? Non pensa che colmando gap e asimmetrie potremmo finalmente dar piena espressione a tanta ricchezza, biodiversità, multiculturalità e quindi possibilità di sviluppo per il Paese?

Con tutti i limiti che segnalavo un attimo fa non vi è dubbio che il tessuto urbano presenta, soprattutto nel mondo delle utility, buoni fenomeni di innovazione; c’è dunque un territorio “che ce la fa” e un territorio che arranca, quello delle “aree interne” e della dispersione montana e marginale. Perfino la strategia nazionale delle aree interne, la SNAI, che per tanti versi è uno dei fenomeni più interessanti di policy making del recente passato, stenta a darsi una fattiva agenda digitale. Non c’è dubbio che il mondo dei piccoli comuni dispersi abbia bisogno di un sostegno centrale molto più forte per agganciare il treno della modernità.

 

Qual è la percezione all’interno delle istituzioni governative degli sforzi fatti da città e territori per trasformarsi in Smart City e Smart Land? Ritiene ci sia stata la necessaria attenzione, e gli strumenti necessari, perché questa evoluzione prenda il via o trovi piena espressione?

Torno a ciò che accennavo poco fa, è soprattutto l’attenzione e la capacità di diffusione delle innovazioni, che pure non mancano, da parte del centro a mancare largamente. La percezione dei fenomeni e dei divari da parte delle amministrazioni centrali generaliste mi pare ancora inadeguata. Non sono mancati programmi anche di successo, come il Programma Elisa, sviluppato per più di un quinquennio dal dipartimento affari regionali dal 2007, ma in generale la capacità del centro di fare da catalizzatore e moltiplicatore è ancora in gran parte da costruire.

 

L’occasione del Recovery Fund è straordinaria se sapremo coglierne tutto il potenziale. Qual è il punto chiave dal suo punto di vista su cui agire per raggiungere gli obiettivi che il Governo si è posto?

Il punto chiave mi sembra quello di sviluppare una lettura più fine dei macrofenomeni territoriali. Se continuiamo a guardare ai territori con una lente sfocata, senza capire ragioni delle incapacità e delle inadeguatezze, spenderemo molti soldi con poco costrutto. È già successo in passato, con i tanti programmi per iniettare dosi di digitale in settori quali, ad esempio, giustizia e scuola, che hanno prodotto molto meno di quel che sono costati. Non possiamo permetterci di ripetere gli errori del passato col PNRR. Ma serve soprattutto una operazione di lettura e concettualizzazione forte e monte, non basta porsi il problema quando si è già alla fase dei bandi per gli acquisti. Confidiamo che la complessa architettura di governance del Piano sappia fare questa operazione di conoscenza e rappresentazione.