Comunità Energetiche per un progresso sociale, ambientale ed economico

Intervista a Nicoletta Gozo, Referente Roll Out Tecnologico e Rapporti con Istituzioni e Stakeholder Divisione Strumenti e Servizi per le Infrastrutture Critiche, ENEA

 

Di Martina Ginasi ed Emanuele Martinelli

 

L’esperienza dei tavoli di lavoro che hanno contribuito alla creazione dell’Osservatorio CER di ENEA, ha posizionato quest’ultimo al centro del dibattito nazionale su un tema cruciale: una nuova concezione di produzione e distribuzione dell’energia. Un argomento che sembra destinato a diventare sempre più centrale nei prossimi anni. Qual è la sua percezione rispetto a questo ambito?

 

L’esperienza dell’Osservatorio è stata davvero unica e preziosa, un’iniziativa che ha permesso di affrontare molte tematiche legate alle comunità energetiche, soprattutto in un momento in cui il quadro normativo era ancora incerto. Questo spazio di confronto è stato pensato per stimolare un cambiamento verso l’adozione di energie più sostenibili, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e rafforzare al contempo l’indipendenza energetica e il controllo sulle risorse nazionali. Tuttavia, con il tempo, il dibattito si è spostato in modo significativo sugli aspetti economici, concentrandosi in particolare sull’analisi degli incentivi e sulla valutazione della redditività delle comunità energetiche. Questo focus economico, pur essendo rilevante, non rispecchia del tutto le motivazioni originarie delle CER, che nascono principalmente per favorire una transizione energetica equa e sostenibile. L’Osservatorio ha svolto un ruolo fondamentale aggregando una vasta gamma di attori provenienti da ambiti diversi, tra cui quello giuridico, economico-finanziario, tecnologico e comunicativo. Questa collaborazione multidisciplinare ha permesso di approfondire tutti gli aspetti legati allo sviluppo, alla gestione e alla diffusione delle comunità energetiche nel nostro Paese. Per affrontare meglio le varie complessità, l’Osservatorio si è strutturato in cinque tavoli tematici principali, dedicati agli aspetti giuridici e normativi, alla valutazione economico-finanziaria, alla comunicazione e al coinvolgimento delle comunità locali, alla raccolta e analisi dei dati e infine alla dimensione regionale, cercando di adattare le soluzioni alle specificità locali.

Tra i tanti, quale punto di maggior rilievo può citare dopo questi mesi di lavoro? E quali sono le criticità ancora presenti?

Uno degli elementi più rilevanti emersi dal lavoro dell’Osservatorio è stata la necessità di adottare un approccio integrato. I numerosi dubbi iniziali, legati agli incentivi, ai modelli giuridici, alla gestione delle risorse e alla comunicazione, hanno dimostrato di richiedere risposte coordinate che tenessero conto della multidimensionalità del problema. In questo contesto, l’Osservatorio ha rappresentato un’opportunità preziosa per i partecipanti, consentendo loro di confrontarsi su questioni complesse e di scambiare esperienze per superare gli ostacoli pratici e normativi. Nonostante il lavoro svolto e i risultati ottenuti, le comunità energetiche non hanno ancora trovato una diffusione capillare a livello nazionale. Tra gli ostacoli principali si evidenziano la complessità burocratica, che rallenta l’implementazione delle iniziative, le difficoltà legate all’accesso ai finanziamenti e alla comprensione degli incentivi e la necessità di maggiore chiarezza sul piano legislativo. Proprio per affrontare queste problematiche, l’Osservatorio continua a lavorare con l’obiettivo di rendere più semplice e sostenibile l’adozione delle comunità energetiche nel nostro Paese.

 

Negli ultimi anni, e su diversi fronti, ha sottolineato l’importanza di mantenere alta l’attenzione su concetti che spaziano dall’efficienza energetica a quella gestionale, ma che guardano in particolare a una transizione culturale. Se prendiamo in considerazione i soggetti che rientrano nel circuito CER – Pubbliche Amministrazioni, imprese, società di servizi, cittadini – le asimmetrie rispetto al livello di conoscenza appaiono rilevanti.

 

Possiamo dire che manca ancora una piena maturità professionale in molti ambiti, anche se gli esperti, come si evince dal lavoro dell’Osservatorio, non mancano certo. Imprese tecnologiche, ESCO o Utility investono per offrire servizi legati alla gestione dell’energia; tuttavia questi rappresentano una minoranza, sono estremamente propositivi ma serve un movimento molto più ampio. I vantaggi reali delle comunità energetiche si potranno ottenere solo quando ci sarà una partecipazione larga e diffusa, con una massa critica che si formerà per aderire realmente a queste iniziative. Il problema principale è che molti dei soggetti che potrebbero farne parte non sono ancora preparati; spesso non comprendono fino in fondo il valore e le opportunità delle comunità energetiche e, lacuna forse più importante, ancora non si fidano e non riconosco l’importanza dell’aspetto sociale delle Comunità. Questa mancanza di fiducia, in alcuni casi può essere dovuta anche a messaggi errati che sono stati comunicati in passato, contribuendo a creare confusione o diffidenza.

Siamo ancora in una fase di comprensione in merito alle strategie di comunicazione più efficaci da adottare.

 

In realtà sono già due anni che si parla di comunità energetiche, ma per gran parte del tempo il dibattito si è concentrato quasi esclusivamente sugli incentivi e sul guadagno economico che le comunità potranno offrire. Non è stata percepita come una soluzione pensata per coinvolgere attivamente la comunità italiana, noi cittadini, in un percorso verso una maggiore sostenibilità. Al contrario, è stata vista come un nuovo modello energetico in grado di generare profitto, un po’ come avveniva in passato nella PA per ottenere risparmi dall’illuminazione pubblica. Per le CER l’approccio deve essere completamente diverso: parliamo non solo di un’opportunità economica, ma di uno strumento in grado di spingere a un cambiamento culturale e ambientale significativo, capace di coinvolgere le persone in modo attivo e consapevole su temi critici come la sostenibilità ambientale, la riduzione dell’inquinamento, la tutela dell’ambiente e una minore dipendenza energetiche dalle importazioni. Adottare soluzioni più pulite non è solo una scelta vantaggiosa per il singolo, ma una necessità per il benessere collettivo e per il futuro del nostro paese. Ne abbiamo bisogno e ormai non è più un’opzione; se avessimo oggi una maggiore quota di energia da fonti rinnovabili, probabilmente soffriremmo meno l’impatto dei rincari degli ultimi anni. Sono questi i temi che devono essere spiegati in modo chiaro e comprensibile, affinché i cittadini possano davvero metabolizzarli. La comunità energetica è una realtà alla quale dobbiamo adattarci tutti, non solo per migliorare la qualità della nostra vita e dell’ambiente, ma anche per contribuire al benessere collettivo. La comunicazione, in questo senso, è fondamentale per far comprendere che si tratta di un beneficio condiviso, un passo essenziale verso un futuro migliore per tutti.

Ritiene che Enea possa assumere un ruolo di garante per i contenuti e le informazioni che vengono diffuse a imprese e cittadini sul tema CER?

 

Siamo sicuramente un soggetto credibile, impegnato nello sviluppo e nell’implementazione delle comunità energetiche approfondendone i diversi aspetti. Anche se il nostro ruolo nelle CER non è istituzionale in senso stretto, come ente che si occupa di sostenibilità ambientale e di promozione dello sviluppo, possiamo dire che la comunità energetica è uno dei risultati tangibili della ricerca in termini di efficienza gestionale, e quindi, a tendere, di maggiore efficienza nella gestione dei territori. Dietro alla parola “comunità” c’è anche una serie di vantaggi legati ad aspetti sociali che vanno oltre il semplice concetto di un gruppo di persone che affrontano un aspetto critico come i costi alti dell’energia. Il termine comunità è certamente da rimettere al centro, soprattutto perché quelle energetica diverranno patrimonio in particolare dei giovani. Saranno loro, le nuove generazioni, a sposare questa soluzione innovativa. Come accennato prima, il successo della comunità energetica dipende dalla partecipazione di una grande massa di persone. È una proposta che deve entrare anche nelle scuole, per sensibilizzare i ragazzi e far loro comprendere che non esiste una sola soluzione ai problemi ambientali, ma un mix di iniziative che possono realmente ridurre gli impatti negativi dello sviluppo industriali, dell’inquinamento delle nostre aree urbane e quindi dei cambiamenti climatici in corso. È chiaro che serva un cambio di paradigma, una vera inversione di marcia nella gestione del territorio; sarà un processo lungo, è un percorso che richiede tempo, ma che sicuramente passa attraverso una maggiore maturità consapevolezza da parte dei cittadini e dei giovani in particolare.

 

Con la sua divisione di ENEA è stata tra le prime a occuparsi di città intelligenti e sicuramente il progetto PELL ha avuto un impatto importante sul percorso verso le Smart City. Ritiene che le comunità energetiche possano favorire la creazione di sistemi urbani sempre più interconnessi?

 

La gestione di una CER necessita del supporto di piattaforme digitali in grado di fornire dati a diversi livelli da trasformare in informazioni utili anche per obiettivi di transizione energetica ed ecologica. Le Smart City non potranno prescindere da una gestione dell’energia sempre più efficiente, riducendo gli sprechi e favorendo l’espansione delle energie rinnovabili. La ricerca e le relative applicazioni puntano sempre più in alto, con concetti e soluzioni come i “Positive Energy District” o i “Positive Energy Building”. Ma anche in questo caso si parla di traguardi possibili grazie alle soluzioni digitali e all’accettazione e alla metabolizzazione di questi processi da parte dei cittadini, attori protagonisti di questa transizione. Dobbiamo coinvolgere il cittadino nell’introduzione di nuovi modelli di gestione del territorio e, in particolare, nella gestione dei consumi, dei fabbisogni ma anche della produzione energetica. Per questo sarà fondamentale coinvolgere i cittadini nell’introduzione di innovazione tecnologica, coinvolgendolo in un processo che deve percepire come opportunità di miglioramento e non come un’imposizione. È importante quindi che conosca meglio il territorio in cui vive, che abbia accesso ai dati, che capisca cosa sta consumando, quali servizi sta utilizzando e come questi possano impattare sull’ambiente. In questo contesto, il cittadino diventa parte attiva e i dati dinamici e statici diventano la “fotografia parlante” del suo territorio e dei suoi progressi.

In termini d’innovazione per contesti urbani e sovra urbani lavorate molto sul concetto di standard minimi.

Ci sono molte soluzioni che permettono ai cittadini di comprendere meglio il punto da cui partono, per avere più consapevolezza dei propri consumi e dei servizi che utilizzano. Ma chi deve gestire impianti e servizi deve necessariamente avere una conoscenza trasversale del territorio, secondo un approccio integrato. Al momento non c’è uno standard minimo di innovazione che garantisca un monitoraggio e una gestione uniforme su scala nazionale. Per esempio, è complicato se non impossibile conoscere il numero di punti luce in Italia perché ogni gestore raccoglie i dati in modo diverso. È un tema su cui stiamo lavorando per costruire una base di conoscenze che ci permetta di orientare meglio le scelte, seguendo una sorta di roadmap dell’innovazione. Ogni comune dovrebbe avere un set minimo di servizi e infrastrutture, ma al momento siamo ancora lontani da una realizzazione piena di questo obiettivo. Non è una questione tecnologica, ma riguarda principalmente la standardizzazione e la gestione dei dati. Ecco perché c’è bisogno di più lavoro su questo fronte: per arrivare a un sistema davvero integrato a vantaggio di tutte le parti.