Resilienza digitale per rafforzare il sistema. Intervista a Mauro Annunziato, ENEA

Mauro Annunziato, Direttore Divisione Smart Energy ENEA ci spiega come la digitalizzazione possa essere in grado di favorire lo sviluppo di resilienza all’interno del nostro sistema e come in tale direzione risponda appieno il concepire la città come centro di scambio massivo di dati

 

Questo momento di difficoltà accelera la necessità di processi innovativi che guardino davvero ai bisogni delle persone: il progetto che avete lanciato, SmartItaly Goal, ci fa capire ancor di più come ciò sia vero

Io credo che l’esperienza che stiamo vivendo con questa emergenza epidemiologica ci stia mostrando differenti aspetti; abbiamo un sistema colpito da una crisi senza precedenti a tutti i livelli; il sistema sta reagendo in modo disomogeneo; alcune infrastrutture che si basano operativamente su metodi e strumenti cartacei stanno subendo pesantemente la crisi; si pensi allo smart working, solo chi è dotato di corrette attrezzature riesce a garantire la propria produttività e lo stesso discorso vale anche per la continuità operativa delle  infrastrutture urbane. Abbiamo visto come lo smart working sia entrato in modo forzato nelle nostre vite e difficilmente si tornerà al passato una volta superata l’emergenza. Io parlerei in questo momento di resilienza digitale. La digitalizzazione, infatti, è in grado di favorire lo sviluppo di un’importante resilienza all’interno del nostro sistema, aspetto questo non ben focalizzato prima dell’emergenza ma che ora è emerso in tutta la sua chiarezza e l’idea di concepire la città come centro di scambio massivo di dati risponde appieno a questa esigenza di resilienza. Abbiamo dovuto comprendere la differenza esistente tra l’uso quotidiano delle infrastrutture e quello legato alla sicurezza. Occorre incominciare a guardare con una prospettiva diversa ciò che è stato fatto fino a ora. Mentre si pensava che l’aspetto principale fosse rappresentato da performance ed efficienza dei sistemi, oggi ci rendiamo conto che ci sono altre due qualità in gioco: robustezza e resilienza. Tutto ciò nell’ottica di proseguire nel necessario percorso di smartizzazione dei territori.

 

Abbiamo sentito in questo periodo le parole, magari un po’ provocatorie, di Massimo Cacciari, che sostiene il bisogno di creare al più presto dei presupposti per una pianificazione e per una progettazione che vada già a prevedere determinati eventi, con un approccio di politica industriale, per evitare, in futuro, di trovarci in condizioni di simili emergenze. Spostando il discorso sui piccoli comuni, se pensiamo al fatto che i dipendenti utilizzano computer fissi, che di fatto rendono impossibile operare in modalità smart working, abbiamo una dimostrazione della poca lungimiranza vigente in alcune realtà. Quello che avete proposto, è di coinvolgere la PA su piattaforme digitali, sui data management per riconcepire il rapporto con utility, cittadini e imprese. Questo può anche essere letto come una sorta di provocazione nei confronti della Pubblica Amministrazione?

C’è un filo conduttore che lega ciò che sta accadendo a ciò che abbiamo fatto: parto ancora dal concetto di smart working, che non significa banalmente lavorare da casa, bensì lavorare per obiettivi: ciò ci ha costretto a riscrivere questi obiettivi in modo molto più severo e dettagliato, portandoci a una attività di programmazione molto più intensa. Quando si lavora da casa quello che manca è il confronto con gli altri, ovvero la sincronizzazione nello scambio di informazioni, la sinergia: il vero problema da affrontare è la mancanza di propensione al lavoro collaborativo da remoto: questo per larga parte è dovuto anche al fatto che mancano fisicamente gli strumenti tecnologici per poter realizzare questa collaborazione. Si tratta di una chiave di lettura molto importante, se portiamo infatti questo esempio su scala urbana, vediamo come il lavoro collaborativo, a livello di città, consista nel creare uno strumento grazie al quale sia possibile rendere fruttuose per le aziende o per le utility le informazioni e le potenzialità che derivano da altre entità, siano esse altre utility o persone. Il lavoro sinergico e collaborativo è quindi un nuovo, o quantomeno oggi lo stiamo scoprendo come tale, elemento fondante della società.

 

Hai toccato un punto che va a incidere pesantemente sulla mentalità e sullo strato culturale delle persone, il modo di approcciare i problemi in un paese molto disomogeneo come il nostro. Un cambiamento di questo tipo, che normalmente richiederebbe molto tempo, può essere in qualche modo accelerato da questa crisi?

Hai introdotto di fatto un altro concetto fondamentale ma in Italia ancora in fase di trasformazione: molte realtà sono state abituate per tradizione a difendere le proprie informazioni, perché in qualche modo sono oggetto di potere; si è sempre pensato che la difesa delle informazioni fosse un modo per difendere la propria centralità. Questo ha portato allo sviluppo di un agglomerato molto fitto di piccole aziende che però non sono mai riuscite a essere sinergiche tra loro e ad avere un impatto internazionale. Riuscire a passare da un modello frammentato a un modello a rete significa compiere un cambiamento di paradigma personale e aziendale; solo stringendo collaborazioni ci si rinforza e si ottengono maggiori risultati. Alla base del progetto smart city vi è proprio un rapporto di fiducia fra i vari enti e territori. Ancora oggi, nei nostri progetti, stiamo riscontrando diverse barriere attitudinali che impediscono il nascere di collaborazioni, non riuscendo a fare filiera. Per questo motivo noi promuoviamo e sosteniamo l’apertura degli standard su piattaforme aperte. A livello urbano, comprendere che mettere in comune dei dati è possibile, offre la possibilità di accedere ad altre informazioni che arricchiscono di parecchio tutti i prodotti. A nostro modo di vedere, fiducia e un’impostazione del lavoro a rete e non frammentaria rappresentano elementi indispensabili per le città del futuro.

A tal proposito, desidererei riportare un esempio personale basato su un’esperienza concreta: all’interno del nostro progetto Smart City ho aiutato diverse città della regione Umbria a sviluppare una roadmap e sono rimasto abbastanza impressionato dalla chiusura dei singoli territori rispetto alla condivisione delle tecnologie: ogni singolo territorio puntava a sviluppare la propria piattaforma di raccolta dati. Nel momento in cui ho suggerito di passare a un approccio alle città di carattere regionale, queste ultime, presa coscienza dei vantaggi economici che ciò avrebbe portato hanno deciso di convergere su una logica comune, che poi rappresenta proprio l’obiettivo principale del progetto Smart Italy Goal. Questo esempio evidenzia come vi sia una forte necessità di trovare il giusto compromesso tra centralismo e federalismo in modo tale da favorire la sinergia e la collaborazione tra i territori.