Un salto digitale per la PA italiana. Intervista a Fabio Florio, Cisco Italia

Nell’ambito del progetto ES-PA apriamo un confronto con le big company protagoniste della trasformazione digitale nelle nostre città.

Intervista a Fabio Florio, Business Development Manager Smart City e CDA Leader Cisco Italia

Di Martina Ginasi

 

Il rapporto tra momento storico e innovazione prende oggi connotazioni del tutto nuove; tenere in rete le persone, le imprese, è ancor più importante rispetto a due mesi fa. Non dobbiamo rincorrere la tecnologia ma è necessario avere una visione di insieme che ci permetta di utilizzarla al meglio. Cosa ne pensa?

Il tema dell’innovazione è sempre più sentito dalle aziende pubbliche e private, che stanno dando segnali importanti in termini di rivisitazione dei propri processi. Ma anche le città si stanno mobilitando in tal senso; sono sempre più infatti i comuni che hanno deciso di nominare un assessore all’Innovazione, come Torino per esempio, per accelerare alcune dinamiche che consentano una maggior efficienza. Il problema del mettere a terra progetti innovativi risiede non tanto nell’idearli ma nel farli partire, soprattutto quando si parla di PA; poi una volta avviati possono velocemente divenire patrimonio di tecnici e funzionari, che a quel punto rompono una normale resistenza ai cambiamenti. Lavorare col privato è più facile, abbiamo collaborazioni con aziende più o meno grandi dislocate sul territorio nazionale a macchia di leopardo; con sensibilità trasversali e anche in ambiti dove fino a poco tempo non era così necessario portare digitalizzazione.

Il fine ultimo dell’utilizzo di uno strumento non è la tecnologia in sé, ma il miglioramento di un servizio. La sfida complicata diventa coniugare la conoscenza acquisita dalle persone su una serie di temi con gli strumenti da utilizzare; il rischio infatti è fornire mezzi estremamente evoluti a livello tecnologico che senza adeguata cultura non vengano sfruttati in tutto il loro potenziale.

 

Come si colma un gap culturale direi inevitabile tra chi progetta innovazione e chi deve invece utilizzarla?

Abbiamo dato il via in Italia a un importante piano educational che possa affiancare adeguatamente progetti digitali innovativi; siamo partiti dai giovani creando delle Student Accademy per poi estendere il servizio agli impiegati delle aziende.

In questo modo possiamo formare quella che sarà la futura generazione di manager e tecnici, e al tempo stesso impattare su chi è già inserito nel mondo del lavoro ma che sempre più si vede cambiare un progetto in corsa, passando da soluzioni tradizionali a digitali. Inevitabilmente servono nuove competenze che fino a poco tempo fa non erano richieste; in modo trasversale a tutti gli ambiti, dalle imprese private, alle utility, fino alla Pubblica Amministrazione. Innovare significa fornire servizi Smart con l’obiettivo di semplificare e agevolare i processi, non di complicarli.

 

Che sensibilità avete trovato nelle varie situazioni incontrate nel Paese; ci sono asimmetrie e gap da colmare anche rispetto all’area geografica in cui ci si muove?

Esistono focolai di innovazione inaspettati all’interno del nostro Paese, spesso originati da start-up, che pensano con maggior libertà anche in termini metodologici. Ovviamente con le grandi aziende c’è meno flessibilità; per questo pensiamo che la soluzione migliore sia acquisire una star up attiva, presentarla a un cliente che necessiti di attività che la start up è in grado di fornire e, nel momento in cui si trova un accordo tra le due parti, dare il via a un tutoraggio attraverso una figura senior capace di guidare anche la start up stessa.

Se la scala è più ampia, come può esser per esempio l’affiancamento a comuni come Milano o Torino, scegliamo un partner in grado di lavorare su tematiche trasversali, anche in questo caso uscendo dalla dimensione ideale nella quale opera una start up da sola per coadiuvarla con personale interno.

 

Il trasferimento di dati da trasformare in informazioni tra un soggetto che fornisce tecnologie, utility e PA sta diventando sempre più veloce e virtuoso. Serve molta capacità di data management e in questo i servizi da offrire al cliente finale devono essere profilati e sempre più qualitativi.

Il percorso non è affatto semplice, i tempi possono sembrare molto lunghi ma sono fiducioso che presto si accorceranno grazie agli utenti. Per chi si occupa di servizi di base quali l’energia, il gas, i trasporti e in generale di elementi legati alla mobilità occuparsi di sistemi complessi è normale; si tratta di attori con strumenti in continua evoluzione; altra cosa invece è indirizzare la Pubblica Amministrazione verso la digitalizzazione che potrebbe richiedere tempi di reazione lunghi. Operazioni su larga scala con soggetti che presentano un numero di persone spesso elevate, richiedono innovazione nei processi, più lunghi rispetto alla sola introduzione di tecnologie. Le utility sono quindi la chiave per aprire determinate porte e hanno competenze per gestire servizi complessi; poi ci sarà un allineamento, ne sono convinto.

Tutti dovranno crescere attraverso un adeguato utilizzo di dati, che saranno sempre più reperibili, ma che ancora sono poco “monetizzati”, quindi o non vengono sfruttati al meglio o non vengono utilizzati secondo valutazioni economiche adeguate, per creare nuovi servizi. Questo secondo me è il salto importante che deve fare la PA, ossia capire come le informazioni a disposizione possano diventare uno strumento per creare nuovi servizi. Per iniziare questo processo è chiaro però che serva un nuovo modello di collaborazione tra pubblico e privato; in una prima fase la PA potrebbe essere un ricettore di dati per trasferirli a chi gestisce i servizi monetizzandoli, ottenendo cioè servizi gratuiti perché chi li crea fa già del business. Si creerebbe in questo caso una catena del valore diversa secondo un nuovo modello; un approccio che dovrebbe esser favorito da un contesto legislativo ancora da costruire.

 

Spesso sono proprio le regole a fare da driver all’innovazione.

Certamente c’è un problema legato alle norme, non si può pensare di innovare un servizio, creare nuovi processi, se di pari passo non

progredisce l’ambito legislativo. Non si può creare un’identità digitale per il singolo cittadino senza aver capito il territorio dove il singolo vive e dove è collocato; e dove deve esser protetto nella sua privacy per esempio. Manca completamente il link tra il centro e il territorio e qui entrano in gioco delle figure che devono essere abili a individuare delle regole applicabili in un particolare territorio e ne favoriscano la digitalizzazione. Evoluzione digitale e normativa ripeto, devono crescere in parallelo se si vuole innovare tutto il sistema.

 

I progetti Smart Land Italia di Energia Media raccontano spesso proprio di questo scollamento di cui tu parli, manca un link, una visione d’insieme che tenga unito il territorio. Hai degli esempi virtuosi da portarci dove invece siete riusciti a favorire questo processo?

Posso senz’altro citare quanto fatto da Cisco a Milano e per Regione Liguria e Comune di Genova. Milano viaggia a una velocita maggiore rispetto alle altre città, è più avanti dal punto di vista dei servizi e abbiamo trovato il terreno più fertile. Grazie all’intervento dell’Assessore alla Digitalizzazione abbiamo dato il via a una collaborazione trasversale anche se il focus si è poi trasferito a progetti legati alla sicurezza cittadina. Un ambito in cui si stanno creando nuovi modelli, che integrano strumenti fisici, videocamere di sorveglianza per esempio, e cibernetici. Protezione che deve aprirsi a tutti i segmenti, coinvolgere per esempio, attraverso adeguato monitoraggio, il livello dell’acqua di un fiume in piena. Innovazione tecnologica e cyber security devono procedere insieme, altrimenti rischiamo di avere un’enorme opportunità senza poterla sfruttare pienamente. Hai accennato alla privacy, e anche in questo caso è necessario arrivare a un punto di incontro, a un equilibrio che determini le basi per un’ulteriore evoluzione.

Il progetto “Safer Milano” per una città più sicura, coinvolge il Comune, la Protezione Civile e A2A in quanto alcune infrastrutture sono di sua proprietà. Nello specifico l’iniziativa ha previsto: la realizzazione di un Security Operation Center per integrare e rafforzare i sistemi di sicurezza fisica, di monitoraggio del traffico, di monitoraggio ambientale già in essere, con reti e piattaforme adeguatamente protette utilizzando le più evolute soluzioni di cybersecurity; la creazione di un centro di innovazione dedicato allo sviluppo di soluzioni innovative per la sicurezza – in particolare nell’ambito cittadino- in cui start up, università, aziende possano collaborare, contribuendo a fare della città di Milano un esempio di eccellenza internazionale e di attrazione nel settore; l’ampliamento dell’offerta di formazione in ambito cybersecurity e Internet delle cose (IoT) nelle scuole superiori milanesi.

 

È sempre interessare comprendere come competenze orizzontali si rifacciano a skills verticali; si tratta di un processo formativo complesso.

Certamente, ma che non costruiamo da soli, e questo è un elemento fondamentale da comprendere. In ambito di innovazione e servizi smart è necessario ragionare in una logica di ecosistema e serve avvalersi di competenze esterne, di collaborazioni profilate. Per esempio, il Comune di Milano ha lanciato in parallelo alla nostra iniziativa un servizio di allerta per i cittadini che ricevono messaggi in caso di situazioni di criticità; da un’iniziativa ne è quindi nata un’altra, c’è stato uno scambio e una forte collaborazione.

 

Quanto è importante coinvolgere il cittadino in questo scambio virtuoso?

È importante, ma senza porre troppa enfasi su questo aspetto; di alcuni ambiti è bene che il cittadino abbia piena consapevolezza, come quelli legati all’intervento della Protezione Civile piuttosto che dei servizi digitali forniti dalla città; in altri casi invece basta una partecipazione come utente, ed è sufficiente che le persone vengano informate su quello che viene realizzato. Di alcuni servizi il singolo può dunque essere partecipe, altri invece sono di completa pertinenza di chi ha un ruolo istituzionale e li gestisce a prescindere.

 

Accennavi alla Regione Liguria e al Comune di Genova, che si sono messi in rete sperimentando nuove soluzioni e servizi.

Il progetto ha riguardato Genova e i servizi regionali in generale, con tutta la PA coinvolta; è stato importante trovare un forte allineamento politico tra Regione, Comune e una realtà come Liguria Digitale, che ha assunto un ruolo fondamentale di facilitatore attivando i servizi, togliendo ogni incombenza ai comuni che sono stati chiamati unicamente a utilizzarli.

Si tratta di iniziative partite con un investimento di Cisco, con una sperimentazione di dimensioni ridotte utile però a far comprendere a Regione e Comune tutto il potenziale; poi con modalità previste dalla Legge Italiana, attraverso Consip o progetti finanziati, è partito il piano di implementazione. L’elemento fondamentale è stato far capire nel concreto come sarebbero cambiati determinati servizi a fronte di una digitalizzazione spinta.

 

Avete altri progetti in corso della stessa portata?

Si, ne abbiamo diversi, Torino City Lab è forse quello di maggior peso, ma si sono aperti fronti di grande interesse a Firenze e a Roma per esempio. In realtà stiamo vivendo un momento molto complesso e abbiamo aperto una collaborazione con molte città per fornire un sistema di supporto finalizzato all’emergenza in essere. Per esempio, grazie a un accordo con il Ministero dell’Innovazione, la nostra piattaforma WeBex è disponibile gratuitamente per 90 giorni per tutte le realtà pubbliche o private che necessitino di strumenti professionali per call conference o webinar. Siamo sempre stati leader nel networking digitale, vogliamo essere protagonisti di un cambiamento nelle relazioni professionali, con una presenza forte in un contesto così difficile come quello determinato dalla crisi.